

Anxo Pastor
Autobiografia
Sono vecchio come il mondo, io che vi parlo.
Nel buio degli inizi
Ho brulicato per le fosse cieche del mare,
Cieco io stesso: ma già desideravo la luce
Quando ancora giacevo nella putredine del fondo.
Ho ingurgitato il sale per mille minime gole;
Fui pesce, pronto e viscido.
Ho eluso agguati. Ho mostrato ai miei nati i tramiti sghembi del granchio. Alto più di una torre, ho fatto oltraggio al cielo,
All’urto del mio passo tremavano le montagne
E la mia mole bruta ostruiva le valli:
Le rocce del vostro tempo recano ancora
Il sigillo incredibile delle mie scaglie.
Ho cantato alla luna il liquido canto del rospo,
E la mia fame paziente ha traforato il legno.
Cervo impetuoso e timido
Ho corso boschi oggi cenere, lieto della mia forza.
Fui cicala ubriaca, tarantola astuta e orrenda,
E salamandra e scorpione ed unicorno ed aspide.
Ho sofferto la frusta
E caldi e geli e la disperazione del giogo,
La vertigine muta dell’asino alla mola.
Sono stato fanciulla, esitante alla danza;
Geometra, ho investigato il segreto del cerchio
E le vie dubbie delle nubi e dei venti:
Ho conosciuto il pianto e il riso e molte veneri.
Perciò non irridetemi, uomini d’Agrigento,
Se questo vecchio corpo è inciso di strani segni.
“Un tempo io fui già fanciullo e fanciulla, arbusto,
pesce che salta fuori dal mare"
(da un frammento di Empedocle)
Nel buio degli inizi
Ho brulicato per le fosse cieche del mare,
Cieco io stesso: ma già desideravo la luce
Quando ancora giacevo nella putredine del fondo.
Ho ingurgitato il sale per mille minime gole;
Fui pesce, pronto e viscido.
Ho eluso agguati. Ho mostrato ai miei nati i tramiti sghembi del granchio. Alto più di una torre, ho fatto oltraggio al cielo,
All’urto del mio passo tremavano le montagne
E la mia mole bruta ostruiva le valli:
Le rocce del vostro tempo recano ancora
Il sigillo incredibile delle mie scaglie.
Ho cantato alla luna il liquido canto del rospo,
E la mia fame paziente ha traforato il legno.
Cervo impetuoso e timido
Ho corso boschi oggi cenere, lieto della mia forza.
Fui cicala ubriaca, tarantola astuta e orrenda,
E salamandra e scorpione ed unicorno ed aspide.
Ho sofferto la frusta
E caldi e geli e la disperazione del giogo,
La vertigine muta dell’asino alla mola.
Sono stato fanciulla, esitante alla danza;
Geometra, ho investigato il segreto del cerchio
E le vie dubbie delle nubi e dei venti:
Ho conosciuto il pianto e il riso e molte veneri.
Perciò non irridetemi, uomini d’Agrigento,
Se questo vecchio corpo è inciso di strani segni.
Primo Levi
Autobiografia
"houve um tempo em que fui menino e menina, arbusto, peixe
que salta para fora do mar" (de um fragmento de Empédocles)
Sou velho como o mundo, eu que vos falo.
No breu do início
Borbulhei pelos fossos cegos do mar,
Cego eu próprio: mas já desejava a luz
Quando ainda jazia na podridão do fundo.
Ingeri o sal por mil mínimas gargantas;
Fui peixe ágil e viscoso.
Esquivei-me a emboscadas.
Mostrei aos meus nascituros as trajetórias retorcidas do caranguejo.
Mais alto que uma torre, ultrajei o céu,
Ao choque dos meus passos, tremiam as montanhas
E a minha massa bruta obstruía os vales:
Nas rochas do vosso tempo está inscrito ainda
O lacre incrível das minhas escamas.
Cantei à lua o líquido canto do sapo,
E minha paciente fome perfurou o lenho.
Cervo impetuoso e tímido
Corri bosques hoje cinzas, maravilhado com a minha força.
Fui cigarra embriagada, tarântula astuta e horrenda,
E salamandra e escorpião e unicórnio e áspide.
Sofri o chicote
E calores e frios e o desespero do jugo,
A muda vertigem do burro na moagem.
Estive menina, hesitante à dança;
Agrimensor, investiguei o segredo do círculo
E as dúbias vias de nuvens e ventos:
Conheci o pranto e o riso e muitas Vénus.
Por isso não riam de mim, homens de Agrigento
Por este velho corpo estar gravado por estranhas marcas.